Critica

Federica Filippelli torna con un nuovo ciclo di lavori sulla città; i riferimenti iconici che hanno caratterizzato la produzione precedente sono stati abbandonati, come afferma Federica, “verso una rappresentazione della città nei suoi angoli meno noti e identificabili”. L’artista crea delle composizioni che ricordano le inquadrature di una macchina fotografica, realizzando una foto dunque, nella quale la frenesia dei ritmi che invadono la città, non dà il tempo di mettere a fuoco lasciando che le troppe informazioni visive ci assalgano, in una rapida sequenza sovrapponendosi l’una all’altra come immagini della memoria che, ricomposte a distanza di tempo, riaffiorano morbide e mutevoli. Il nuovo percorso della pittrice non si limita a viaggiare nei meandri della memoria, ma cerca anche di esplorare la sensazione di perdita di identità tipica della vita all’interno di una grande dimensione come quella della metropoli, raggiungendo quell’anonimato misto alla piacevole sensazione di essere invisibili. In sostanza ci troviamo in un non-luogo, dove la perdita di memoria e d’identità ha lasciato spazio a qualcosa di nuovo, che potrebbe essere ovunque e in qualsiasi stagione, silenzioso e sfuggente come un liquido.
Sara Guazzelli
Gran parte della produzione pittorica di Federica è rappresentata da una magica attrazione dalla notte turbolenta, agitata da fulmini e saette di vario genere. L’altra costante, un blu elettrico che ritroviamo nella totalità della sua produzione. Il blu di Federica non è tenebroso, pur essendo scuro, bensì lo si potrebbe solo chiamare “elettrizzante”, ossia dinamico. La sua pittura, tanto nei colori come nelle forme rifugge ogni staticità. Tutto è movimento: anche il suo immenso nudo lunare richiama l’arcuarsi del dorso, lo sfavillare delle onde del mare notturno.La quasi totalità della pittura è statica: veramente pochi sono i pittori che intendono e riescono a fissare sulla tela il movimento. Federica ama i grandi spazi illimitati, forse solo al fugace traccia elettrica dei fulmini riesce a farci percepire l’immensità della volta celeste. Il fulmine, in un attimo, scuote la stasi del quotidiano, è un atto di coraggio, tanto più apprezzato da chi si sente soffocare dalla routine…

Carole Massagrande

L’artista si uniforma ad un paesaggismo urbano che non è quello classico, ma rivisita le metropoli anche in base all’evoluzione che esse hanno avuto nei secoli e in particolare nell’ultimo cinquantennio. Ne risulta una inquadratura da trompe d’oeil che farebbe concorrenza ai quadraturisti del nostro glorioso passato in “New-York”, perfetta sintesi delle costruzioni post-industrializzazione che ha portato a generare giganteschi “mostri” di cemento. Ne risulta una forte impressione ma pure un senso di inquietudine, nonostante la visione si apri su uno spazio aperto dove dovrebbe mancare questo senso di soffocamento che, invece, anche se quasi impercettibilmente, permane. Così allo stesso tempo la pittrice crea “Electric-City”, dove il cielo, perennemente scuro, è squarciato da un fulmine che illumina la notte buia. Molto personale è poi quel far vedere, attraverso un leggero tocco del pennello, i palazzi uno dietro l’altro, come se fossero di vetro e non di cemento

Gianni Gallinaro

[…] In lei, come per tutti gli artisti, la pittura è un mezzo per cercarsi e per comunicare. Un mettere a fuoco, un visualizzare attraverso la forma e il colore delle immagini che più che appartenere a un tempo fisico appartengono invece a un tempo dell’anima. Prendiamo ad esempio questo quadro: Electrical Storm (Fulmine su New York), guardandolo non penso a un cronista radiofonico che sta descrivendo un evento meteorologico preciso: “…quel fulmine cadde sulla città di New York alle ore 17.32 all’inizio dell’incontro fra i Los Angeles Lekers e i Chicago Bulls, in quel momento….”, ma bensì a un evento che, se viene così spesso rappresentato, sia per Federica il simbolo di una linea di confine fra la corsa, l’avvicendamento degli impegni e la loro costante richiesta di tempo e di energia e il bisogno di calma. “Il fulmini” è lo stop al dinamismo del quotidiano e cioè un modo forte di riprendere possesso di sé stessi e quindi di una dimensione che sembra ci stia scappando di mano attraverso uno shock elettrico che immediatamente ribalta la situazione e permette così all’artista di rifugiarsi nel suo spazio interiore dove ritrova la pace, la serenità e nuova energia. Il pennello sfiora la superficie della tela, non si presenta aggressivo, caustico, come a voler parlare di cose mai dette, ma bensì lieve, velato, a volte cupo, quasi permaloso e mai in rilievo onde evitare un’eccessiva matericità. I fulmini o le prospettive aeree delle città d’oltreoceano, collocano l’artista col suo cavalletto direttamente nell’etere, come stesse guardando e dipingendo dal cielo. Questa matrice accomuna diversi quadri e indica una personalità in ascolto pronta a percepire gli eventi, siano essi naturali o personali, capace di decantarli spogliandoli dagli aspetti più tragici e dolorosi per restituirli all’osservatore nel loro aspetto scenico. Questa caratteristica, che può rimanere inosservata è invece di notevole rilievo perché, all’insaputa dell’artista stesso, colloca il suo fare pittorico in un modus pingenti tipico di molti pittori di tutte le epoche, ponendola a buon diritto fra coloro che fanno la pittura. Da Pompei a Posillipo, dalle Alpi a Paestum etc. tutti gli artisti, ed è ciò che spesso ha contribuito a renderli tali, si sono cimentati con le “vedute”. E’ passato tanto tempo, cambiano le cose e sentono il bisogno di amplificare il loro sentire prendendo in prestito, dalla natura, un evento col quale si identificano e lo rappresentano. Ecco la “veduta”. Per cui nei quadri di Federica più che il nuovo si esprime l’antico, l’uomo antico, colui che sente ancora il sano bisogno di rappresentare sé stesso attraverso un evento col quale entra in risonanza. Per cui il nostro augurio è che Federica continui ad esprimersi così, facendo tesoro al futuro, di una tavolozza ancora inespressa ma che i suoi quadri ci lasciano intuire.

Aldo Aytano

“…Federica Filippelli presenta una ciclo nato dopo un suo viaggio negli USA, evidenzia la scossa provocata dall’incontro con le sensazioni degli immensi spazi del continente americano e il controllato ordine del paesaggio toscano segnato dall’evolversi della storia e dell’armonia. Ne sono termini di paragone Lucca e il barbaglio delle luci delle metropoli, i picchi rettangolari dei grattacieli e l’ellisse morbida di Piazza Anfiteatro; le due memorie si sovrappongono, le esperienze si mescolano, mentre una strana luce contamina entrambi i paesaggi.”

Antonella Serafini, (dal catalogo della mostra Punti di Vista.)

Per Federica il fulmine è concentrazione sublime – in quanto mista di piacere e terrore – di energia allo stato primordiale, un violento invito a cogliere l’attimo, in un tempo che come noi si ferma a guardare. Unione di opposti, tragica temporanea separazione degli elementi, il fulmine è luogo eletto dei più spettacolari avvenimenti. Qualcosa che vuole scuotere l’uomo dal grigiore dei suoi giorni; dal Tempo, che è l’unica cosa non controllata dalle sue volontà. Il fulmine è la Natura che si ribella a se stessa, la mano che il Cielo tende all’uomo affinchè faccia la stessa cosa.

Marco Palamidessi